mercoledì 6 luglio 2022

A casa

 


A fatica spostai il coperchio del tombino per chiuderlo e scesi giù a nascondermi.

Il cellulare non prendeva sottoterra.

Nessuno avrebbe saputo dove fossi e quei pensieri sarebbero stati liberi.

Ci era rimasto solo quello, ma non tutti l’avevano capito.

Ci avevano visto gioire di nuovo e dimenticare la paura. 

Ci avevano visto emozionarci e fare progetti.

Avevamo fatto un grande falò con il malessere degli ultimi due anni: veloci, lenti, intensi, a tratti soffocanti.

Rischiavamo di essere indomabili. 

Rischiavamo di essere nuovamente ragionevoli.


Quei due anni erano stati una sorta di terapia per me. 

Inizialmente raggomitolata su me stessa, sentendomi vittima e preda, ripresi pian piano ad allargare le spalle.

Imparai a tagliare i rami secchi. Rispolverai l’anima e ballai con il cuore in meravigliosi passi a due, anche da sola. 

Il presente diventò così fitto e così pieno di me, che me ne innamorai.

Vidi con un nuovo sguardo i veri strumenti del potere e mi fu chiaro che potevo spegnerli con un clic, almeno in buona parte.

Non mi avrebbero piegato di nuovo nel terrore.

C’era un’energia del bene condivisa con molti. No, non con tutti. 

Ci eravamo ritrovati.


Mi si accesero gli occhi come fossero fari e iniziai a camminare, bagnandomi le suole ad ogni passo. Ero al sicuro. Solo questo contava. Non sentivo alcun odore di fogna. Ero libera.


Percorsi centinaia di metri, sicura che avrei incontrato altri come me.

Arrivò nel cervello “Play dead di Bjork ad urlarmi che fingere di essere morta potesse ammaliare il sentire quel dolore del mondo.

Seguirono poi i rimproveri della prof di filosofia di vent’anni prima “La devi smettere di fare la madre universale, non puoi! Devi pensare a te! Devi essere più egoista!”.


Stavo pensando a me, stavo pensando a me.


Ma quanto avrei voluto avere un megafono! Avrei voluto tenere “lezioni del bene” in radio e in tv, in diretta streaming ovunque. Avrei voluto puntare l’attenzione sul malessere civico delle frustrazioni non curate, dell’agonia di essere sottoposti ogni giorno a tutte quelle finte vite dei vincitori dell’apparenza, delle inutili lotte che ci hanno illuso di portare avanti con una tastiera e una buona grafica.


Avrei fatto meditazione ogni mattina con tutto il mondo, all’alba, in un tempo lento e riservato solo agli occhi interni e al respiro lentissimo per riprendere consapevolezza di noi come singoli, prima di essere parte di un tutto. Questo TUTTO ormai percepito SOLO attraverso device. Che fine di merda stavamo facendo…

Avevamo così tanto tra le mani ed eravamo distratti, perennemente distratti, spesso a sbirciare nelle vite degli altri per passatempo.


Purtroppo quest’attitudine all’utopia non si era placata nonostante la —demia.


E le ultime bandiere arcobaleno sventolate per la pace mentre continuavamo a fingere con chi avevamo a pochi passi, mi avevano fatto capire ALTRO. Ancora.

Ecco perché preferii andare sotto terra.

Avevo visto troppo.

Avevo sentito troppo.

Mi ero preoccupata troppo.


Ma avevo una foga di vivere che andava oltre ogni topo incontrato in quel buio. Mi sentivo al sicuro.


Sentii in lontananza, ma sempre più vicina Svanire di Einaudi e mi ritrovai a casa.






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